Disney+ ha scelto di raccontare una delle vicende più oscure della cronaca italiana con Qui non è Hollywood, una serie che ricostruisce la tragica storia di Sarah Scazzi, la quindicenne di Avetrana scomparsa il 26 agosto 2010 e ritrovata senza vita settimane dopo.
Questo caso ha tenuto incollati milioni di italiani davanti alla TV per mesi, trasformandosi in un macabro spettacolo mediatico. La serie cerca di esplorare non solo la vicenda criminale, ma anche le implicazioni socioculturali e mediatiche che hanno reso il caso un fenomeno unico nel panorama italiano.
La trama
Qui non è Hollywood si sviluppa come un dramma a più livelli: da un lato, segue le ultime ore di vita di Sarah, ricostruendo i rapporti complessi all’interno della sua famiglia e con la cugina Sabrina Misseri; dall’altro, analizza l’invasività dei media, che trasformarono il piccolo paese di Avetrana in un palcoscenico per lo spettacolo morboso della cronaca nera.
La narrazione alterna momenti intimi e profondamente umani a sequenze che evidenziano l’assurdità e la spettacolarizzazione della tragedia, con giornalisti, esperti e curiosi che affollavano il paese, alla costante ricerca di scoop.
La critica al sensazionalismo mediatico
Il titolo stesso, Qui non è Hollywood, sottolinea l’ironia amara di una storia vera che è stata trattata come un prodotto di intrattenimento. La serie punta il dito contro l’eccesso di attenzione mediatica che ha finito per schiacciare non solo la memoria della vittima, ma anche il senso di umanità delle persone coinvolte.
Le riprese dei talk show, le interviste e gli speciali TV, ricostruiti fedelmente nella serie, mostrano un sistema mediatico che ha trasformato il dolore di una famiglia in uno spettacolo per il pubblico. A emergere è una denuncia implicita: la tragedia di Sarah è stata amplificata al punto da diventare quasi irriconoscibile, tra sospetti, accuse e colpi di scena che sembravano costruiti per mantenere alta l’audience.
La regia e l’atmosfera
La regia è essenziale e incisiva, con una fotografia cupa e opprimente che riflette il clima soffocante di Avetrana. Le strade polverose, le case modeste e i volti segnati dalla fatica evocano un’Italia periferica, lontana dai riflettori ma improvvisamente esposta alla luce abbagliante dei media.
Le scene che ricostruiscono le dinamiche familiari sono intense e disturbanti, evitando di scadere nel melodramma. L’uso dei flashback, che ci riportano agli ultimi giorni di Sarah, è ben calibrato e serve a svelare lentamente le crepe nei rapporti tra i protagonisti.
Le interpretazioni
Il cast brilla per la sua capacità di interpretare con sensibilità e realismo personaggi complessi. L’attrice che interpreta Sarah offre una performance delicata e rispettosa, restituendo l’immagine di una ragazza normale, con sogni e fragilità. Sabrina Misseri, figura centrale nella vicenda giudiziaria, è interpretata con intensità, oscillando tra la dolcezza apparente e i lati più oscuri del suo carattere.
Michele Misseri, uno dei personaggi più controversi del caso, è reso con una performance che bilancia la sua ambiguità e il suo ruolo di capro espiatorio, lasciando spazio alla riflessione sul peso delle dinamiche familiari.
Conclusioni
Qui non è Hollywood non è una serie facile da guardare. Si tratta di un prodotto che non solo ricostruisce una vicenda dolorosa, ma interroga lo spettatore sul suo stesso ruolo come consumatore di cronaca nera.
La serie si distingue per il rispetto con cui tratta la memoria di Sarah, evitando il sensazionalismo e puntando invece a riflettere sul contesto sociale e mediatico che ha trasformato Avetrana in un simbolo di un’Italia divisa tra modernità e arretratezza.
Se da un lato si tratta di un’opera necessaria per capire meglio il caso e le sue implicazioni, dall’altro lascia un senso di inquietudine e amarezza, proprio come dovrebbe fare un racconto di questo tipo. *Qui non è Hollywood* è un monito per ricordarci che dietro ogni titolo di giornale ci sono persone reali, vite spezzate e comunità ferite, spesso dimenticate troppo in fretta.